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VIBO FOREVER

Devi mangiare. Devi mangiare. (Pausa). Devi mangiare. Devi mangiare.

La voce giunge da un luogo indefinito e riempie lo spazio del bilocale. Come una nonna che ammonisce una nipotina inappetente. Come una cantilena senza senso.

Sono sola e sto leggendo. Una situazione eccezionale, per una come me, arrivata in questo posto per parlare e non per leggere, né tantomeno per scrivere. Sono in pausa, tra una risata e l’altra, tra un piatto di pasta-carne-verdure-pesce e l’altro, tra una gita e l’altra. Una vacanza per scrittori lunga più o meno una settimana. Una gita scolastica per adulti, con alcuni di noi già vecchi e ancora in attesa.

Siamo scesi a sud per crogiolarci nei nostri io e siamo finiti a fare gli amiconi durante interminabili cene, come se ci conoscessimo da una vita. Scesi a sud per declamare la nostra arte. Felici di essere ascoltati.

Ma da chi? Da nessuno in realtà, perché il nostro pubblico è formato da sedie vuote, da scolaresche svogliate spronate da professoresse volitive e da altri scrittori, scrittori locali ancora più tristi di noi, anche se, bisogna ammetterlo, in questi giorni noi in realtà siamo felici, anzi felicissimi. Ma non di essere uditi, come dicevo prima mentendo. No, felici di stare tra di noi e di volerci bene, una volta per tutte. Lasciando da parte gelosie e meschinità. Chi ha venduto più copie? Chi ha conquistato il pubblico della vicina penisola? Chi ha ricevuto una bella recensione? In questo luogo in decadenza chiamato Vibo Valentia, che sa un po’ di antica Roma e un po’ di conquista spagnola e del quale mi innamoro, ce ne freghiamo del successo che rincorriamo da una vita.

Non è vero, di nuovo sto mentendo: ci importa eccome! Infatti non appena finiamo di parlare – ascoltandoci pure un poco fra noi (sintomo di grande generosità) – ci pieghiamo sui nostri dispositivi e postiamo. Postiamo foto, di noi, del pubblico scarno facendolo apparire abbondante, del nostro finto successo. E questo postare non è scrivere, è solo postare. Per mettere la ciliegiona sulla tortina aggiungiamo anche gli articoli di giornale, che provano il nostro successo. E ci diamo tante pacche virtuali sulle spalle.

Miserrimi siamo. Eppure ci divertiamo. Ed è un divertimento vero e genuino, che ci fa onore. Ci riscatta dalla nostra condizione di esseri umani che bramano attenzione.

Devo mangiare. Devo mangiare. (Pausa). Devo mangiare. Devo mangiare.

È questo che la voce dice. Ed è di donna. Anziana, che soffre senza più saperlo, ormai. Viene dall’appartamento di sotto, dall’intimità di una famiglia che si stringe attorno a una malata. La figlia, che in questi giorni è la mia padrona di casa e che trova il tempo di portarmi in giro a passeggiare fra vecchie mura e colorati musei all’aperto, ha lasciato la sua vita a nord per tornare dalla madre a sud. È una terra davvero generosa, questa Calabria. Piena di gente generosa.

Dobbiamo mangiare. (Pausa). Dobbiamo mangiare.

E mangiamo, noi scrittori, mangiamo un’intera cittadina con i suoi abitanti. Ne abbiamo bisogno per sentirci vivi. Ce la ingolliamo a pranzo e a cena e torniamo a casa satolli ed ebbri di successo. Quello vero e quello inventato, che tanto fa lo stesso.





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