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IL CONCERTO

A fine concerto il musicista va in giro a raccogliere spettatori per la platea e li porta sul palco. Loro lo seguono come i topi del pifferaio magico e finiscono lassù, timidi e impacciati. C’è quello che filma con il cellulare e quella che, spalancando le braccia, si cala nella parte. Noi del pubblico li guardiamo mentre fanno qualcosa che pensano sia cantare, e per loro proviamo pena e piacere, con quella gioia becera dello stare insieme che si allarga a onda come un dolce tsunami. La voce del musicista trema, si perde qualche nota, inciampa e si riprende. È stato un concerto sbilenco che il pianista, per amore e virtù, ha rattoppato lasciandosi guidare e lasciando tutti noi senza fiato. Devoto all’uomo che accompagna da una vita, è stato svelto a scomparire ogni volta che la voce tornava, possente, proprio come ora, mentre il musicista si diverte con il suo coretto improvvisato, il cappello storto in testa, l’aria scanzonata da ragazzino, la borraccia dell’acqua vicina, i pantaloni troppo stretti in vita e il passo incerto di chi ha solcato troppi palchi. Finisce tutto in un grande applauso con l’umidità degli occhi che mi scorre sulle guance e io che penso: orribile e magnifico assistere allo spettacolo di questi due uomini che si fondono l’uno nell’altro sorreggendosi a vicenda, scattanti e claudicanti, energici e stanchi, sincronizzati e soli, vecchi e giovani. Due uomini che sanno fare ciò che fanno e che amano farlo. Due che per due ore ho ammirato e che mi dispiace abbandonare.

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