Lassù ci era arrivata scappando da Sven all'uscita di scuola, terrorizzata dalle urla e dai sassi che le lanciava. L'aveva seminato tuffandosi nell'erba alta e arrampicandosi sulla collinetta. Si era distesa tra gli steli con il cuore che le batteva forte e una gocciolina di sudore che le solleticava la fronte. Poco dopo il vento si era alzato e i fiori tutt'attorno avevano cominciato ad agitarsi, mentre lei era rimasta schiacciata a terra. Con il vento erano arrivate le nuvole e con le nuvole l'aria si era rinfrescata. Ora non voleva più andarsene. Sentiva una piacevole stanchezza scorrerle attraverso il corpo e pensò che sarebbe potuta restare lì, immobile, a guardare le nuvole scorrere sopra di lei all'infinito. E così fece, finché non le venne fame. Non sapeva che ore fossero perché non portava un orologio, ma il suo stomaco brontolava e di malavoglia gattonò tra i denti di leone, il rabarbaro selvatico e i botton d'oro. Sbirciò qua e là e, una volta sicura di essere sola, corse saltellando a casa.
Sua madre era in giardino a chiacchierare con la vicina. Ne sbirciò l'espressione e si accorse che era furiosa, senza dubbio per il ritardo. Non provò a nascondersi, tanto sapeva che in presenza di altri non le sarebbe successo nulla.
Senza staccare lo sguardo dal computer, suo padre dalla sedia le ordinò di andare in camera. Passò accanto alla sorellina che giocava con i pentolini e al fratellino che dormiva nella culla e chiuse la porta badando bene a non sbatterla.
Si sdraiò a terra, ripensando al prato. Passando una mano sulla spalla sentì qualcosa di duro che spuntava. Era come un fagiolino, come un bottoncino. Le dava i brividi.
Sotto la collinetta avrebbe potuto scavarsi una tana, come quella di un coniglio, ma molto più grande. Avrebbe portato una coperta, una lampada, del cibo e di notte avrebbe dormito lì. Ogni mattina si sarebbe svegliata fra l'erba e sarebbe stata felice. A casa ci sarebbe tornata solo ogni tanto, giusto per dare una mano alla mamma con i fratellini. L'avrebbe mostrato solo alla sua amica del cuore, quel nascondiglio, per giocare in tutta segretezza a carte o con le bambole. Toccò di nuovo il fagiolino. Le sembrava che fosse leggermente cresciuto.
Quando, prima di cena, sua madre la punì, cancellò anche il sogno del prato, della tana, della libertà senza confini. Notò il bottoncino sulla spalla. Era nero e lucido: una zecca, entrata dentro di lei, tra i fili d'erba.
Al momento di estrarla pianse. Il prato l'aveva tradita.
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